Come si faceva il pane negli anni ’30 (e nello stesso modo si può fare oggi!)

 Mia nonna, che è nata nel 1926,  abitava in una casa colonica della Toscana centrale. In famiglia mediamente erano 19-20 persone e per la classica autarchia del mondo contadino di quegli anni, lavoravano il podere e vivevano quasi totalmente dei prodotti ottenuti dalla terra. Lei ama molto raccontare di quando era giovane e non faccio fatica a coinvolgerla facendole tante domande sul suo mondo di allora.

Prendendo spunto dal fatto che recentemente ho partecipato ad un bellissimo laboratorio di panificazione in cui ho imparato l’affascinante magia della pasta madre, ho chiesto a mia nonna come lei faceva il pane da giovane. Non mi ha stupito troppo il fatto che il procedimento di panificazione che lei mi ha descritto sia molto simile a quello che ho imparato e che applico io per fare il pane anche adesso.

Ciò mi conferma l’importanza e la bellezza di riscoprire gli antichi mestieri e ancor di più sono convinta che conoscerne le tecniche e cercare di riprodurle oggi sia un gioco assai utile per non perderne la memoria

Dunque ecco nonna che mi racconta “ Facevamo il pane una volta a settimana e lavoravamo 20- 25 pani da circa 1 kg e mezzo ciascuno. In casa eravamo tanti e il pane era l’alimento base che accompagnava le altre pietanze e che doveva saziare quando di altro c’era poco.

Usavamo il lievito madre, che era prodotto anch’esso in casa. Il procedimento era questo: si metteva in bagno la madre il giorno prima di fare il pane e noi chiamavamo questo atto “rimettere il lievito”.

Il giorno della panificazione di metteva una bel quantitativo di farina nella madia (n.d.r. il mobile in legno utilizzato per questo scopo) e si faceva una buca nel mezzo. Si impastava la farina con la madre e acqua tiepida e si lasciava l’impasto ottenuto a riposare (vicino al fuoco, se era inverno) un paio d’ore fino a che non raddoppiava. Riprendevamo l’impasto, lo spianavamo sulla spianatoia e poi  ci facevamo le  forme dei pani. Le forme venivano, poi, posate su una lunga tavola coperta da un telo infarinato: il telo veniva piegato in modo che tra una forma e l’altra rimanesse della stoffa a separare le forme.

Sopra veniva messo un altro telo e se era molto freddo anche una copertina di lana. Si lasciava a lievitare per un tempo variabile a seconda della temperatura esterna e un po’ dipendeva anche dalla donna che lo impastava. Ad alcune mie zie non lievitava mai, mentre ad altre donne della casa lievitava velocemente…..Appena l’impasto era gonfio e lievitato si spazzava il forno a legna, lo si scaldava bene e si aspettava che ritornasse alla tempera utile. Si infornavano i pani e si aspettava che fossero dorati.”

Il pane era fatto quasi sempre con farina di grano, ma a volte mi diceva nonna, che mettevano anche un po’ di farina di mais. Per le grandi occasioni (rare, a suo dire) nel pane si metteva uva secca o “frizzoli” (palline di lardo di maiale).

Il pane si conservava dentro la madia e, in estate, in cantina.

In onore di questo bel racconto di mia nonna oggi anche io ho realizzato il mio primo pane con la pasta madre , eccolo

 La soddisfazione che dà farlo con le proprie mani merita un racconto a parte……..lo rimando ad una prossimo post.

 

Per la foto (rielaborata) che evoca gli anni ’30 ringrazio l’Archivio Fotografico Prov. di Rimini

 

 

 

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