Quando capita di assaggiare un pane ben fatto
è inevitabile soffermarsi sul suo profumo,
è piacevole immaginare i gesti ancestrali che lo hanno prodotto,
è bello pensare al fuoco che lo ha cotto,
bisognerebbe ricordarsi che c’è stato un contadino che ha scelto la varietà del grano,
e sarebbe utile capire come lavora un mulino a pietra.
Un pane ben fatto è un miracolo di armonia,
il risultato che pochi equilibristi sanno realizzare,
una poesia di cui tutti vorremmo nutrirci. (*)
“Professoressa, ma che ha fatto alle mani?” Ooopss.
Guardo le mie mani sul foglio da disegno di Virginia: sui bordi delle unghie si vede una sostanza biancastra che è rimasta lì nonostante abbia lavato abbondantemente le mie dita. “Scusate, ragazzi, stamani, prima di venire a scuola ho fatto il pane!”. “Il paneeeeeeeee?? Ma prof., il pane in casa non lo fa più nessuno!!!”.
E invece no.
Ho spiegato ai ragazzi che, anche se non è certo la maggioranza, sempre più persone hanno ricominciato a fare il pane in casa, come facevano i nonni. Non è banale spiegare il perchè. Non è banale spiegarlo a ragazzi che lo hanno sempre visto acquistare al supermercato.
Da quando ho iniziato a fare il pane in casa spesso rifletto su cosa significhi per me questo gesto: per me è come fare una seduta di Yoga. Quella mezz’ora in cui, come un alchimista, peso, mescolo, giro, scelgo tra le varie farine mi dà la possibilità di pensare…..di pensare con la calma che di solito non riesco ad applicare nella maggior parte della giornata. Impasto il mio pane quasi sempre la mattina prestissimo, quando in casa c’è silenzio e tutti dormono e mi ritaglio questo momento di pace, di profondi pensieri indisturbati. Le mani che impastano, che creano, mi consentono un contatto con me stessa e mi danno quella soddisfazione di realizzare qualcosa di concreto che così tanto mi manca nel mio vero lavoro (durante il quale, spesso, produco solo fogli di carta e numeri). Inizio la giornata meglio.
Inoltre il pensiero che il mio pane se ne sta lì a lievitare, a casa, mentre io vado a lavoro mi dà un piacevole senso di sicurezza per tutta la giornata. So che devo tornare a finire il lavoro, a cuocerlo, perchè ciò che ho iniziato a creare la mattina trovi compimento.
Vedere le fette in mano ai bambini mi dà, poi, la soddisfazione completa di nutrirli io, proprio io, con cose fatte da me, non solo con le mani, ma anche con un po’ di quei pensieri che ci ho messo dentro mentre impastavo.
Una cosa buffa è lo sguardo di mia nonna, quando le porto il mio pane fatto in casa: mi guarda con una certa compassione. Lei lo ha dovuto fare tutta la vita, con molto sacrificio perchè doveva macinare la farina, andare a prendere l’acqua, accendersi il forno e credo non capisca fino in fondo cosa significa per la mia generazione provare a fare le cose che loro facevano quotidianamente per ritrocare il valore dell’artigianato e dell’indipendenza dai prodotti industriali. Per lei, nata negli anni ’20, l’emancipazione era non avere l’obbligo di faticare così tanto per mangiare; per me, nata negli anni ’70 maturare ed emanciparmi significa rendermi indipendente da un mercato di prodotti inutili e dalla pubblicità, ritornare all’essenziale, capire di essere in grado, da me, di creare qualcosa di concreto.
Le capacità manuali, quelle che vorrei valorizzare anche nei miei bambini (visto che sono così trascurate dalla scuola), devono essere di nuovo prese in considerazione come un mezzo per arrivare all’interiorità. Con l’inculcarci il ruolo di consumatore passivo ci hanno un po’ “rubato” la sicurezza nelle nostre abilità e ci hanno reso del tutto dipendenti (anche mentalmente) dai prodotti del mercato e dalle marche.
Fare il pane presuppone un allenamento alla manualità e un riavvicinamanto a gesti ancentrali, che, contemporanenamente, arricchiscono il corpo, la mente e la spiritualità.
Ho chiesto ad alcuni amici che fanno il pane di darmi la loro testimonianza su cosa significhi per loro questa attività e nel prossimo post riporterò le loro parole.
(*) Queste belle parole le ho riprese dal biglietto di auguri che mi ha inviato un amico per Natale. Grazie, Mario Apicella.

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Brava sorellona, sono fiera di te e del tuo bellissimo pane, che un po’ti invidio
!!
Ora che hai anche te la pasta madre vedrai che ti viene bene.
bellissimo post, complimenti(e bellissimo anche il pane)!
Ti ringrazio.
Ciao Irene! Ma sei anche insegnante! Che bellezza poter passare anche i ragazzi le nostre conoscenze sul pane! Io ho organizzato con l’associazione degli incontri/laboratorio per i bambini sul pane con la pasta madre: sono stati un successone! Belle anche le parole all’inizio dell’articolo!
Ciao Daria. Davvero una bella idea quella di fare dei laboratori sul pane con i bambini. I miei adorano impastare e “ciacciare” mentre faccio il mio pane e immagino che sia molto bello farlo anche con gli altri bambini. Mi sa che questa idea la ripropongo alle mamme che frequento. In questo modo forse si contribuisce a diffondere anche tra gli adulti un po’ di amore per la panificazione in casa….